giovedì 3 aprile 2008

giovedì 27 marzo 2008

Sweet Delirium. Capitolo 0

Tio! Vamos! Vamos! Tio!

E allora andiamo, risposi scocciato e con tutta l’intenzione di far notare la mia scocciatura, lo scoccio, come l’avrebbe definito in seguito Melody. Sei un portatore malsano di scoccio. Quanto era bella Melody, quanto era sessa, nel senso che mi faceva sesso. Io ero scoccio e lei era sessa, non eravamo una coppia bilanciata. Poi, coppia, è difficile definire quella relazione come una relazione di coppia, era un dodecaedro, il più delle volte.

Li avevo conosciuti da poco e già mi stordivano con le loro stranezze. Non che non li trovassi intriganti, però non mi andava giù che io mi chiamassi Antonio, mentre loro esibivano, come se niente fosse, tra l’altro, quei loro nomi altisonanti e le armature luccicanti. Ero arrivato da poche ore a Marville, e già mi sentivo un provincialotto spaventato, o ancora peggio, un banalotto spaventoso.

Ici, disse Parsifal. Ti portiamo in un posto che devi vedere assolutamente. Subito! Now! Vite, vite!

Parsifal, con la sua armatura luccicante e la sua barba fulva era quello dei tre - perché erano tre i miei condottieri notturni - che parlava di più, almeno, rivolgendosi a me. Gawain, il più alto, non faceva altro che fissarmi con quei suoi occhi enormi da invasato, mettendomi a disagio, e non lievemente, molto a disagio, pieno di scoccio. Arturus, il tesrzo, era il capo, non avevo alcun dubbio, la corona che portava in testa era decisamente eloquente al riguardo, e anche lo scettro era un ottimo indizio. Sua maestà sussurrava continuamente frasi sibilanti nell’orecchio di Parsifal, che poi le ripeteva a me ad alta voce, almeno credo che il meccanismo fosse questo. Arturus mi rivolse la parola una sola volta, in risposta ad una mia domanda.

Come mai ti chiami Arturus e non Arthur?, gli chiesi.

Ho sempre amato sindacare sulle cose insindacabili, tipo l’azzuro del cielo, o la composizione chimica dell’acqua. Sarò anche un tipo banale, il vostro tipico Antonio del coutryside, però a me che le cose non possano sempre essere diverse da quello che sono non è mai andato giù, non l’accetto.

Devi sapere, mi rispose con un tono di voce profondo quanto l’abisso in cui si guarda scoprendosi guardati a nostra volta, che il mio nome è la somma di Ar, ossia le ultime due lettere del verso del leone: roar!, più la lettera t scritta in minuscolo, perché sembra la croce su cui è morto Nostro Signore, e la parola Urus.

Ossia?, insistetti.

La parola Urus. Non la conosci?

No.

E’ intraducibile, sorry. E non mi rivolse più la parola.



... continua ...

lunedì 17 marzo 2008

Soprattutto l'uomo.

...
non ci si puo' saziare del mondo
Mehmet
non ci si puo' saziare.

Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
Vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all'uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma innanzitutto ama l'uomo.
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell'animale infermo
ma innanzitutto la tristezza dell'uomo.

Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l'ombra e il chiaro
ti diano gioia
ma che soprattutto l'uomo
ti dia gioia.
...

Tratto da "Forse la mia ultima lettera a Mehmet" di Nazim Hikmet.

domenica 16 marzo 2008

Sia forte

Sia idealista, la mia donna.
Sognatrice,
Equilibrista.
Sia forte, la mia donna.
E abbia dita affusolate.
Emancipata,
Non per niente
- libertà da spogliarello,
cinguettii da bordello -,
Ma che sia intelligente, la mia donna.
E viva nel futuro,
Storia,
Spazio.
Curiosa,
Languore mai sazio.
E sia fiaba, la mia donna.
Vulcano,
Maremoto.
Sia corpo, la mia donna.
E mi seduca,
Mi succhi il sangue dal cervello
Cancellando l’esistenza.
Strega,
Mi tramuti in un notturno,
Suono senza margini.
Cannibale,
Mi divori la coscienza,
Sfilacciandomi la mente.
Sia il suo caldo sortilegio
Un pieno denso d’assenza.
Che cammini, la mia donna,
Su due piedi, e che sian suoi.
E stanca, voli,
Sogni,
S’immerga nel suo mare
Infinito,
Illimitato,
Mi illuderò d’esserne orizzonte.
Me lo permetta, la mia donna.
E mi permetta di osservarla,
Misurarla,
Annusarla,
Permetta alle mie mani di conoscerla a memoria.
Sia forte, la mia donna
- L’ho già scritto,
Ma è importante
E lo ripeto -.
Sia forte, la mia donna.
Integra,
Onesta.
Sia forte, ancora,
E sia abile in quel raro gesto bistratto:
L’arte antica di chiudere le porte.

lunedì 3 marzo 2008

Ishmael e Adramelech

Guardami Ishmael. Non dormire.
Lo vedi? Mi vedi? Sai chi sono? Mi temi? Tremi davanti al Principe Adramelech?
Figlio di Abramo, Ishmael caro, io ti sono dentro. Lo senti? Mi senti?
Issssssshmael.
Mi conosci, caro. Io ti conosco, ti leggo, poro per poro, pelo per pelo.
Conosco la terra che hai sotto le unghie, sedimenti di tutta la tua invidia.
Guido il tuo sguardo colmo d’ira e di rimorso che trafigge gli altri uomini ammantato del tuo silenzio ipocrita.
Sei fatto di fiamme, Ishmael, corpo di mulo, come il tuo amico Adramelech d’altronde.
Ma tu, Ishmael, uomo che non sei altro, tu ancora guardi alle stelle.
Tu ancora speri di contarle tutte, vederle tutte, scoprirne i colori e le forme, ascoltarne i rumori, magnificarne la luce, trattenerle tutte, le stelle, nel palmo della tua mano da uomo, nella tua zampa di mulo.
Issssssshmael.
Cerchi ancora la salvezza alzando lo sguardo, la poesia per colmare il tuo tormentato silenzio nei vuoti di cielo tra le stelle.
Ishmael, mi deludi.
Sei umano al punto giusto per essere un demone, un principe, come il tuo caro amico Adramelech, ma ancora sogni. Per quanto tempo ancora, Ishmael, tesoro?
Per quanto tempo ancora sognerai un numero ed al mattino ricordandolo ti sussurrerai: “Ecco, così tante sono le stelle”?
Isssssssshmael.
Te ne accorgi, tu, che le stelle cadono? Che il tuo conto è alla rovescia?
O fino a quando non cadrà anche il sole, Ishmael, rinnegherai che la natura dell’uomo, la tua stessa natura, tesoro mio, è quella di Adramelech?
Quante sono oggi le stelle?

mercoledì 27 febbraio 2008

L'asessuata

- Guardi dottore, non so più che fare…
Non mi guardava. Con aria scocciata alitò sugli occhiali e portandoli a contatto con la punta del naso cominciò a strofinare le lenti con un foglio di kleenex, esaminando attentamente il lavoro svolto con i suoi piccoli occhi miopi.
- Cos’è successo questa volta?
Non sapevo dove guardare, cosa guardare, qualcosa che mi desse la sicurezza giusta per cominciare, quel punto fermo che non riuscivo a trovare mai nella mia esistenza. Quel che volevo raccontargli mi sembrava incredibilmente assurdo, peggio di tutte le altre storie con cui avevo riempito quella stanza durante le sedute. La sua apparente - spero solo apparente – disattenzione non mi aiutava affatto.
- Allora? – mi esortò, guardandomi fisso per la prima volta da quando ero entrato, - mi dica cos’è successo di così disarmante, questa volta.
- Sì.
La fontanella zen sarebbe andata benissimo, decisi, avrei guardato quella.
- Si ricorda – cominciai, - si ricorda che le avevo detto di aver iniziato ad uscire con questa ragazza, e che mi sembrava stesse andando tutto bene, finalmente, ero rilassato con lei, mi rilassava. Andavamo al cinema, parlavamo un sacco, e fuori a cena, e i fine settimana in montagna, che era simpatica, divertente, intelligente, anche sensibile, e addirittura bella, ben fatta, bella che mi piaceva così tanto guardarla e non riuscire a trovare nemmeno un difetto sufficientemente grande da farmi dire che non andasse bene, da tormentarmi fino a lasciarla, come sa che mi era già capitato in passato. Non oso dirle che mi sembrava di essere felice con lei, ma di sicuro ero sereno. Certo, non facevamo l’amore, ma non era la prima volta che mi capitava di dover aspettare un po’ perché mi si concedessero le grazie, anche se l’ultima volta che ricordo di aver dovuto aspettare un mese, avevo diciotto anni, ed era stata la prima volta. Dalle ultime esperienze, traumatiche, certo, ma anche divertenti in alcuni casi, alla terza uscita il sesso sembrava quasi obbligatorio, sa, mi ero abituato, e a dirla tutta, nella metà dei casi non sia arrivava neanche alla terza uscita, sembrava che loro avessero più voglia di me, ed era una bella sensazione. Comunque mi sembrava che per questa qui ne valesse la pena, di aspettare, in fin dei conti non sono una bestia, un animale, posso aspettare, mi sono detto, dopo due settimane, poi dopo tre, poi ieri sera ci ho provato un po’ più insistentemente.
- E cos’è successo, se mi è permesso?
- Le è permesso, figuriamoci. E’ successo che mentre cercavo di toccarla, in macchina, lei continuava a dimenarsi, a respingermi, a dirmi di smetterla, fin quando le ho chiesto cosa c’era che non andava. Mi ha guardato negli occhi e continuando a tenermi a distanza con le mani sul mio petto, mi ha detto “Senti, ti devo dire una cosa”. Già tremavo. “Sai, probabilmente avrei dovuto dirtelo prima, ma mi piaci, e temevo che questa cosa potesse rovinare tutto, che smettessi di uscire con me. Sai, mi piaci davvero molto”. Io non parlavo, cercavo soltanto di capire. “Beh, vedi, io sono asessuata”.
Si rende conto dottore?
- No, non credo di capire esattamente cosa…
- Già, nemmeno io capivo esattamente, infatti le chiesi cosa intendesse dire. Beh, a dire il vero le domandai se fosse priva degli organi genitali, come una bambola, e lei rise, e mi disse “Ma no, scemo, non vuol dire quello asessuata, significa solo che non voglio fare l’amore”.
“Non vuoi farlo con me?” le domandai in preda ad un attacco di senso d’inferiorità.
“Ma no, non voglio farlo in generale”.
“Perché non l’hai mai fatto?”
“No, no, l’ho fatto”.
“Ma è stato traumatico, quindi…”
“No, no, non è stato traumatico. Semplicemente non mi è piaciuto e trovo che si viva meglio senza”.
Vede dottore, io aspettai cinque secondi e contai fino a dieci, ed il fatto di contare fino a dieci in cinque secondi mi fece capire che ero veramente troppo agitato, incazzato direi. E le dissi “Sei asessuata? Cristo, ci mancava solo questa! È divertente, non l’avevo mai sentita sai?! È divertente se non capita a me, cazzo! Ma è possibile? Prima c’è quella che si eccita solo se la chiami troia o puttana, e all’inizio è anche divertente, sa di film porno, poi, a lungo andare le parole cominciano a perdere ogni significato. Poi mi tocca quella che vuole che le venga soltanto sui piedi, e devo sempre ricordarmelo sennò s’incazza, o peggio, si mette a piangere. C’è quella che se non la picchi non gode, e pure quella piange se l’avete fatto senza che tu la picchiassi, perché si ricorda di quando lo faceva con quello che la picchiava e le piaceva così tanto e si sente in colpa perché non pensava a te mentre lo facevate. Poi c’è quella che dopo che ha scoperto che le piace andare in giro nuda per casa a quattro zampe attaccata ad un guinzaglio, non riesce più a fare altro, e ti maledici per averle chiesto di fare il cagnolino per te, e finisce che te la trovi una mattina, a quattro zampe davanti alla porta d’ingresso che scalpita per essere portata in giardino a fare i bisogni. Per non parlare di quella che desidera che le si pisci addosso, e per non parlare di quella di cui non voglio parlare, non voglio neanche pensarci, che schifo! Cristo!”
Sa a chi mi riferisco dottore, vero?
- Sì, non si preoccupi, mi ricordo, vada avanti.
- Beh, l’elenco era finito, ma ero troppo incazzato e mi sentii in obbligo di aggiungere “ Ma tu sei la peggiore di tutte. Asessuata? Ma che cazzo vuol dire? Codarda di merda. Almeno tutte queste altre ragazze hanno avuto il coraggio di arrivare a scoprire le proprie perversioni, di sfogare le proprie nevrosi, e al di fuori del sesso erano anche vagamente equilibrate, non mi hanno mai fatto paura. Tu, invece, cara la mia asessuata, tu mi fai paura. Io ho paura che un giorno tu mi uccida se continuo a stare con te. Quindi, asessuata, vaffanculo. Non voglio morire per mano di una asessuata”.
Mi dica, ho fatto male?

lunedì 25 febbraio 2008

Nightswimming

Dormi dormi dormi dormi dormi.
Non dormi. Certo, se continui a ripeterti di dormire rimani sveglio. Non dormi. E’ come mettersi a contare le pecore.
Dormi dormi dormi dormi dormi.
Devi immaginarti le pecore che saltano una staccionata, la staccionata, il prato, il cielo, terso, magari un albero in lontananza, e le pecore, bianche, che una per una saltano.
E una pecora, due pecore, tre pecore, quattro pecore, cinque pecore. Non dormi. La quinta pecora è nera, giusto per movimentare la situazione. Sarebbe meglio non farlo, movimentare la situazione intendo. Non dormi e cerchi di movimentare il conteggio delle pecore. Mi deludi. Ma in fin dei conti non è una novità il fatto che tu abbia un’innata capacità di fare la cosa sbagliata, di metterti i bastoni tra le ruote, solo che fino ad ora questa tua arte non era mai entrata nell’ambito del sonno.
Dormi dormi dormi dormi dormi.
Non dormi. Sarà la cena, pensi, era pesante. No. Faceva cagare. Ecco cos’è. Ma non c’entra la cena.
Musica, se non dormi ci vuole della musica. Quanto manca al mattino? 6 ore. Cazzo, riuscirai a dormire, ne hai tutto il tempo. R.E.M. Nightswimming. Non che duri sei ore, ma almeno ha il sapore della ninna nanna.
E chiudi ‘sti occhi!
Dormi dormi dormi dormi dormi.
Se continui a ripeterti di dormire che cavolo l’hai messa a fare la musica? Ascolta la musica. You, I thought I knew you. You I cannot judge. You, I thought you knew me, This one laughing quietly underneath my breath. Nightswimming.
Dormi. Non dormi. Se canti non dormi tu, e magari rischi anche di svegliare il vicino del piano di sotto, e se si sveglia lui stai sicuro che per un bel po’ non ti addormenti, perché si mette a ripetere cose incomprensibili con la sua voce dal tono terremotante. E’ vecchio, lo giustifichi, però ‘sti cazzi, tu già non dormi di tuo, se ci si mette anche lui stiamo freschi. Diciamo che sarebbe un ottima scusa, un ridicolo motivo esogeno, per incaponirsi sulle notti tormentate senza cercare la causa del tormento, come per tutto il resto. Poi andrai in giro a dire che non dormi, magari che soffri di insonnia. Quanto sarebbe divertente, vero? Un tormento in più, così non se ne vede più la fine.
Dormi dormi dormi dormi dormi.
E se le pecore le facessi volare invece che saltare? Fluttuare. Sicuramente una pecora che fluttua è più rilassante che non una che salta, che poi magari ricadendo inciampa, ti distrae e ti rovina il conto. A quante pecore fluttuanti sei arrivato? Cinquantuno. Cinquantadue pecore fluttuanti, cinquantatre pecore fluttuanti, cinquantaquattro pecore fluttuanti.
Dovrebbero essere soffici, come batuffoli di cotone, col muso rosato, reso più dolce ed umano, tipo un cartone animato, pecore che farebbero uscire di testa Gavino Ledda.
Sessanta pecore fluttuanti soffici come nuvole.
Dormi dormi dormi dormi dormi.
Poi non è che non dormi per niente. È solo che ti addormenti e ti svegli due ore dopo e ti metti a pensare, per esempio, al fatto che l’ultimo film di Chabrol, obiettivamente parlando, non è un granché, anzi, in alcune parti la sceneggiatura rasenta il ridicolo, ma da un punto di vista personale, emotivo, è fin troppo azzeccato e ti da fastidio, e non dormi e pensi che alcuni film non hanno bisogno di essere dei capolavori per colpirti come una lingua d’acciaio. Che bravo che sei, citi anche l’Iliade, ma non è che questo ti farà dormire, sai?
Dormi dormi dormi dormi dormi.
Sessantanove pecore fluttuanti soffici come nuvole.
Credevi davvero di addormentarti prima del sessantanove? Adesso per cinque minuti stai sicuro che non chiudi occhio, poi il conto lo ricominciamo da capo quando torni dal bagno.


Alfred Hitchcock Presents: Cure For Insomnia